Calabresi Illustri

Tommaso Campanella

Il filosofo Tommaso Campanella nacque a Stilo nel 1568 e morì a Parigi nel 1639. E' considerato uno dei maggiori filosofi e poeti italiani del XVII secolo. Entrò a 14 anni nell'ordine religioso dei domenicani e, pur mantenendosi cattolico credente ed umile nei confronti della Chiesa, suscitò ben presto diffidenze e persecuzioni per la sua attività di scrittore e di studioso. Si manifestava infatti incline alle scienze occulte, avverso alla filosofia aristotelica ufficiale ed entusiatico sostenitore di Telesio. Il carcere di Napoli, dove scontò nel 1591 la prima condanna per eresia, il successivo vagabondare fuggiasco per l'Italia settentrionale alla vana ricerca di una cattedra da cui diffondere le proprie idee, le ripetute torture dell'inquisizione romana (1595), furono nella sua tormentata vita i primi atti di quel dramma che che doveva trovare compimento nel suo paese d'origine. Nel 1598, infatti, tornò a Stilo con l'intendo di sfruttare il generale malcontento contro l'amministrazione spagnola in Italia Meridionale per realizzare il suo modello ideale di stato: una repubblica a carattere religioso governata da un principe sarcedote e di cui egli stesso avrebbe dovuto essere il legislatore. Nel 1599, scoperta una congiura; Campanella, noto per le sue idee e per la sua predizione di una grande rivoluzione nell'anno 1600, fu portato a Napoli, sottoposto a processo per azione sovversiva, giudicato pazzo e condannato al carcere a vita. Restò rinchiuso per ventisette anni durante i quali, con esercizio costante di pensiero e di volontà, riuscì a meditare, a studiare a poetare ed a scrivere molte delle sue opere fra le quali La Città del Sole, che compendia il suo ideale di repubblica. Liberato nel 1626, visse a Roma sotto la sorveglianza dell'inquisizione. Il Papa Urbano VIII ne agevolò la fuga in Francia allorchè venne di nuovo coinvolto in una congiura contro il viceré di Napoli. A Parigi, nominato astrologo di corte da Luigi XIII, poté trascorrere gli ultimi anni studiando con tranquillità e guardando alla Francia con speranza per quelle riforme politiche e sociali a cui egli, anche dal carcere, aveva continuato ad incitare principi e re.


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